ALPINISMO CLASSICO A CAPRI – VIA DELLA “RAMPA” (parete est) MONTE S.MARIA

VIA DELLA “RAMPA” (parete est) MONTE S.MARIA – ISOLA DI CAPRI

 Romolo Ottaviano Gianni

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INTRODUZIONE:

F. del Franco e W. von Arx, dicembre 1988. Sviluppo totale, dall’attacco fino all’incrocio con il sentiero del “Passetiello”, circa 250 m.

Difficoltà tecnico-arrampicatoria: III grado; (pass. di V-)

Bellissima, estetica e panoramica ascensione, sfrutta la logica ed evidente cengia erbosa a tratti rocciosa e verticale, che in maniera obliqua porta dalla base della parete est direttamente su in cima agli aerei pratoni sommitali, dove si riconnette con l’uscita del famoso e anch’esso panoramico sentiero del “Passetiello” al Monte Santa Maria (anticima del Monte Solaro).

DESCRIZIONE:

Può intendersi quindi come “variante” scalatoria del più celebre  sentiero del “Passetiello”. Consigliabile per chi ama escursioni in luoghi suggestivi e solitari dell’isola, difficili da raggiungere se non dotati di una minima abilità alpinistica, e dove la componente d’avventura, è di molto predominante su quella meramente sportiva dell’intero itinerario. Trattasi comunque di una via alpinistica, con tratti di roccia mai completamente buoni, anzi a tratti pessimi, che si alternano a tratti di terra scoscesa o prati verticali esposti, man mano sempre più facili e percorribili, fino all’uscita sommitale, ma caratterizzata da un avvicinamento difficoltoso e impervio.

Con la recente ultima ripetizione e restauro dell’itinerario da parte di chi scrive, sono state aggiunte protezioni fisse (cordoni) a quelle già presenti in loco  tradizionali (chiodi). Queste sono state comunque valutate dal sottoscritto in buono stato di conservazione, nonostante la loro vetustà (1988) ed esposizione agli agenti atmosferici e di aerosol marino che hanno subito.

(c)2024 Google Maps

ACCESSO:

Dalla rotatoria di Due Golfi, prendere a piedi via Torina, costeggiando l’ospedale comunale Capilupi, e poi seguire le indicazioni per Passetiello.

Al primo bivio si prende a sinistra e poi a salire una rampa di scale. Invece di proseguire interamente le scale che porterebbero alla falesia “Paolo Galli” , si traversa a sinistra in orizzontale, imboccando un sentierino pianeggiante che conduce alla villa della “Formica Felice“. Superata quest’ultima, si svolta a destra e poi a sinistra, scavalcando un muretto di contenimento, poi una rampetta di scale e poi  ancora un altro muretto. Da qui l’avvicinamento diventa faticoso e si consiglia di munirsi di falcetto e cesoie da giardinaggio, poiché ci si addentra entro una fitta vegetazione mediterranea incolta e selvatica costituita da lentischi, lecci e rovi di spine avvolti fra di loro. Si consiglia di tenere a vista sempre come riferimento la parete rocciosa, mantenendosi al di sotto di essa continuando sempre traversando verso sinistra faccia a monte. Oltrepassare il monotiro spittato con targhetta metallica alla base con scritto “Euphorbia”, continuando sempre verso sinistra e aiutandosi con i vecchi cordoni passamano presenti in loco ma oramai inghiottiti dalla vegetazione. Superato ancora un tratto di  parete giallastra strapiombante,  conviene perdere leggermente quota di qualche metro voltando a sinistra verso il mare, attraversando faticosamente dei fitti rovi di spini, finché non si perviene nei pressi di un antico e diruto muretto di pietrame a secco, che una volta sormontato e risalito porta, non prima di aver attraversato ancora un altro sbarramento di rovi spinosi, alla base del canale pietroso/ghiaioso. Questo si trova alla nostra destra guardando in alto. Ora superare un primo risaltino di  facili roccette e continuare per un centinaio di metri di dislivello, risalendo lo scosceso e sempre più ripido ghiaione detritico, camminando fin sotto la parete dove si fa verticale. Ora, guardando leggermente a sinistra, si noterà un cordone fisso colorato (cordone rosa) attorno ad un rametto di rosmarino selvatico, che segna l’attacco vero e proprio della via.

(c)2024 Google Maps

Primo tiro:

L’attacco è in prossimità del cordino rosa legato attorno ad un solido ramoscello di rosmarino selvatico.

Scalare la non banale e sporca paretina tenendosi sul filo dello spigoletto e seguendo i chiodi tradizionali presenti nascosti qua e là dalla vegetazione ed integrando possibilmente con friends ( 3 ch.). Proseguire sempre tenendosi sulla verticale di una pianta di leccio selvatico sospesa al di sopra (cordone fisso); la si supera e ci si sposta lievissimamente con i piedi a sinistra (ch.), ribaltandosi, si guadagna più facilmente uno scosceso pendio roccioso da percorrere interamente puntando alle rocce sovrastanti (ch.), per poi traversare nettamente a destra e mirando a un leccio costituito da 3 fusti di tronco uniti fra loro alla base; sostare su cordoni fissi presenti, scartando l’opzione di fare sosta sul leccio più grande situato ancora più alla destra. (40 m IV/IV+ con inziale passetto di V- , 5 ch , cordone fisso).

Secondo tiro:

Si risale un  canale sporco e terroso per un paio di metri (cordone su tronco). Si continua sempre nel canale terroso che ora presenta un aspetto più roccioso, ma di pessima qualità, fare attenzione a massi instabili presenti e cercare di proteggersi con protezioni mobili ( friend) in fessure che siano sufficienti a tenere un eventuale caduta. Delicatamente si scavalca il pendio e si perviene ad una larga cengia erbosa a mo’ di terrazza, superando a destra un masso gigante appoggiato; superarlo e puntare fin sotto la parete verticale sovrastante dove si sosta comodamente su chiodo e cordone fisso arancione legato attorno ad un fortissimo ramo di rosmarino. ( 35 m II/III-).

Terzo tiro:

Si percorre la rampa erbosa e cespugliosa in conserva, tenendosi presso l’ immensa e incombente parete verticale sovrastante, e stando attenti all’esposizione dei dirupi sottostanti, che però diminuisce mano mano che si prosegue. Continuando sempre in conserva per esposto sentierino mantenuto pulito più dal passaggio delle capre che dalla presenza di altre forme di vita, tenersi sempre paralleli alla parete e per logicità puntare ad una selletta, superata la quale si perviene finalmente all’uscita sui pratoni verticali sommitali del Passetiello (cordone arancione fisso in clessidra). ( 140 m, pass II, resto elementare)

Da qui si può continuare camminando in salita lungo il sentiero fino a raggiungere l’Eremo di Santa Maria a Cetrella, oppure si prsegue sempre a piedi, in discesa lungo  il sentiero del Passetiello  e poter cosi ritornare in località Due Golfi, ovvero al punto di partenza.

 

APRITORI:

Francesco del Franco, padre dell’alpinismo in Campania, è stato molto di più di un vero appassionato di montagna, è stato un uomo straordinario e solo chi ha avuto il privilegio di conoscerlo può capire. Francesco “è stato uno degli ultimi grandi signori napoletani, nei modi e nel ragionamento”, ha scritto di lui la giornalista Mirella Armiero. Da anni assiduo frequentatore delle Dolomiti, Francesco si avvicinò all’alpinismo dapprima grazie alla guida fassana Renzo Favé e successivamente seguendo i consigli di Luigi Ghedina “Bibi”, guida alpina e Scoiattolo di Cortina.

Grande amante dell’anima nascosta e più recondita di Capri.

Quest’ultima che sino alla fine dell’Ottocento, e prima del successo turistico e mondano, era ancora chiamata “La Rupe de’ Disperati”, “uno scoglio entro mare … al pie’ dell’amenissimo promontorio di Surrento”. L’isola era vista come un sasso dal quale era sicuro “sfracellarsi o andare in abisso dentro al profondo mare che la circonda”.

È merito di del Franco aver ripreso, recuperato e razionalizzato tutte le esperienze alpinistiche capresi, ripercorrendo le vie classiche, aprendone di nuove, e, soprattutto scrivendo per l’Edizioni La Conchiglia, il libro-guida “Alpinismo classico nell’isola di Capri”, nella quale sono relazionate numerose altre vie di arrampicata in giro per l’isola, oltre alla qui presente “via della Rampa”, alcune già esistenti per esempio sui mitici Faraglioni, altre attrezzate ed aperte da lui stesso. Creando un rinnovato rapporto tra l’ambiente alpinistico dolomitico e quello caprese, furono anni intensi, da un punto di vista alpinistico, che diedero nuovo impulso alla conoscenza di quelle pareti rocciose. Le rocce capresi non erano più “La rupe de’ Disperati”. Francesco aveva dato vita, fiato e concretezza ai celebri versi di Pablo Neruda: Capri è ormai diventata “Reina de Roca”.

Insieme alla compagna Pia Hullman e ad amici locali, come Luigi Esposito, o ai forestieri, come gli Scoiattoli di Cortina, dei quali era assiduo frequentatore ed amico, fra i quali in primis il grande alpinista e arrampicatore Enrico Majoni, aveva cosi inaugurato, a cavallo degli anni 90, una felice stagione esplorativa ed alpinistica sull’isola.

Mantenendo però sempre uno stile ed un taglio esclusivo o se vogliamo elitario, fece di questa attività, di questo alpinismo, un alpinismo “di nicchia” e non alla portata di tutti, come non alla portata di tutti è o per lo meno era, l’isola di Capri.

“Alpinismo classico sull’isola dio Capri”, non si configura soltanto come un’attenta guida alle arrampicate capresi, ma propone uno stile di vita, un modo di essere al tempo stesso originale, per non dire unico, e un modus vivendi profondo e al tempo stesso leggero e, per usare una sua espressione, “non banale”.

Da quelle pagine introduttive si deduce come del Franco non si sentisse mai isolato nelle sue peregrinazioni montanare, poiché forte era in lui il senso di incarnare una tradizione alpinistica che aveva profondamente assimilato, ma che aveva, in un certo qual senso, saputo stimolare e attualizzare.

Secondo del Franco la storia ci ha mostrato come l’alpinismo, e più in generale l’”andar per monti” sia profondamente legato alla cultura, sia quella per così dire scientifica, sia quella umanistica. «Da un punto di vista tecnico – egli scrive – abbiamo definito l’alpinismo classico quella forma di alpinismo in cui non vengono utilizzati i chiodi a pressione (i cosiddetti Spit: ndr) o strumenti equivalenti né per la progressione né per la sicurezza. Caratteristiche di questo tipo di alpinismo sono la ricerca dell’avventura in senso lato, del rischio calcolato, la curiosità e la disponibilità al viaggio esplorativo. In questa prospettiva la fantasia, l’intuizione, l’esperienza dell’ambiente e della roccia sono doti necessarie per la scelta dell’itinerario di salita che, nel limite del possibile, deve soddisfare anche esigenze squisitamente estetiche».

Estetica e tecnica devono andare di pari passo con il rispetto per la montagna, e per la logica delle ascensioni alpine che mal sopporterebbero l’uso intensivo e ravvicinato dei chiodi a pressione, con conseguente utilizzo dei trapani e la foratura della roccia.

Cos’era dunque, alla fine, l’alpinismo, e l’alpinismo classico in particolare, per Francesco del Franco? Ecco le sue parole: «Credo che sia confortata dai fatti la conclusione, a cui è arrivato chi scrive, che l’alpinismo non sia riducibile a mera attività sportivo-ricreativa, ma costituisca un patrimonio culturale prezioso per configurare un non banale ‘stile di vita’, e che il legame tra cultura e alpinismo sia la chiave di lettura per assicurare a quest’ultimo un non precario futuro… Ciò che conta, credo, è che alla fine della giornata ognuno abbia realizzato un proprio progetto intimamente costruito, sulla base della conoscenza di se stesso, senza condizionamenti di mode, miti, velleità competitive ed exploit tipici della nostra società proditoriamente consumistica. Chi praticherà l’alpinismo con tale spirito, in qualunque modo e a qualsiasi livello di difficoltà, avrà in qualche modo contribuito al grande gioco dell’alpinismo propriamente inteso».

L’alpinismo per del Franco era infine la capacità di mettersi in gioco nella conoscenza piena dei propri limiti, e anzi una vera e propria filosofia del limite – saper conoscere le proprie attitudini, “sentire” il proprio corpo sottoposto alle sollecitudini dello sforzo atletico, raggiungere un’armonia fisica e mentale – può essere considerato il senso alpinistico profondo del suo andar per monti.

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